2012 Novembre

Tutte le news dall’Aeroclub di Modena

30 Novembre 2012

NOVARA, 29 NOV – Il racconto di un nostro lettore, via mail e poi confermato a voce: «Sabato 24 novembre, verso le ore 20, poco dopo aver parcheggiato l’auto sul viale Roma, mi apprestavo a scaricare le borse della spesa con la mia fidanzata. Nel mentre abbiamo sentito un rumore che sembrava dovuto ad uno schianto, come il classico rumore di lamiere in un incidente stradale … ma sulla strada apparentemente non era accaduto nulla. Dopo qualche attimo di smarrimento, analizzando la situazione, e su indicazione di un passante (spaventato dall’accaduto) ci siamo resi conto che era caduto un pezzo di ghiaccio, che ha impattato contro la portiera destra posteriore tra il finestrino e la maniglia (lato marciapiedi), e che si è poi rotto in una decina-quindicina di frammenti. Dopo i primi sospetti che il ghiaccio provenisse da qualche abitazione (ipotesi scartata per vari motivi), la probabile traiettoria e la potenza dell’impatto ci hanno fatto pensare che quel ghiaccio provenisse da un’altezza importante (i frammenti avevano superfici lisce, come levigate) e quindi abbiamo ipotizzato una caduta di ghiaccio proveniente dal cielo (forse staccatosi da un aereo in fase di atterraggio o chissà cos’altro). Il ghiaccio era del classico colore “bianco”, ho letto che solitamente il ghiaccio degli aerei può avere delle colorazioni (ad esempio azzurro) a causa degli agenti chimici utilizzati (forse per uso sanitario). E’ stata fatta regolare denuncia alla Polizia Municipale intervenuta sul posto, che non è stata in grado di dare una spiegazione all’evento, e che ha rilevato e fotografato alcuni pezzi di ghiaccio e l’ammaccatura sulla carrozzeria della portiera. Il fatto ci ha impressionato particolarmente perché la mia fidanzata aveva da poco chiuso la portiera successivamente colpita, e si era spostata di un paio di metri, pochi secondi prima dell’impatto; riteniamo che le conseguenze sarebbero potute essere molto gravi in quanto ha seriamente rischiato di essere ferita. Lo scopo di questa lettera è cercare di dare una spiegazione a quanto è accaduto – conclude il nostro lettore – magari col riscontro di eventuali segnalazioni di altre persone che hanno visto cadere pezzi di ghiaccio nel luogo e all’ora indicati, o che hanno riscontrato presenza di giaccio sul terreno nella zona».

Il mittente ha poi specificato che i frammenti erano grandi più o meno come una noce, cosa che fa pensare a un blocco originario di dimensioni fra una pallina da tennis e un pallone da calcio, e ha posto un inevitabile quesito: «Ma è proprio indispensabile far passare gli aerei in atterraggio e decollo proprio sopra le verticali delle città, invece che su aree disabitate limitrofe, che pur ci sono?». E qui ci si riallaccia a un nostro recente servizio, sempre sull’onda di segnalazioni di lettori, nel quale appunto documentavamo che effettivamente aerei in attesa di atterrare a Malpensa transitano sulla verticale di Novara, con conseguenti rischi sicurezza e inquinamento (così come, ci sia consentito evidenziarlo, i circa 250 aerei che giornalmente atterrano nello scalo oltre Ticino passano sulla verticale del polo chimico di San Martino di Trecate), oltre che di rumore.

IL QUESITO

Plausibile l’ipotesi che quel blocco di ghiaccio possa essersi staccato da un aereo in volo?

Innanzitutto abbiamo verificato – grazie a un sito specializzato per addetti ai lavori – che effettivamente un aereo, intorno alle 20 di quel 24 novembre (vedi le piantine), ha sorvolato la zona della città indicata dal nostro lettore. Si trattava del volo Eth 703 della Ethiopian Airlines. Un grosso Boeing 757/23n (lo vediamo nella foto in originale) che viaggiava già alto, intorno ai 6mila metri, a circa 800 km all’ora. Non ci sono elementi per puntare il dito su quell’aereo (in qualsiasi caso comunque incolpevole), ma il quesito generale è appunto: possibile che da un aereo in volo si stacchi un blocco di ghiaccio e arrivi a terra, col rischio di causare gravi danni e cose e persone?

LA RISPOSTA

Abbiamo prima interpellato un addetto ai lavori, che si è mostrato perplesso e scettico: «Non mi risultano casi analoghi… la vicenda andrebbe approfondita, ma va detto che il fenomeno ghiaccio è molto studiato appunto per scongiurare eventualità simili. Consiglio di interpellare enti specializzati nel controllo e nell’assistenza dei voli». Siamo partiti dall’Ansv (Agenzia nazionale per la sicurezza del volo), ma loro fanno «solo prevenzione generale»; ci hanno dirottati così all’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile). Tramite l’Ufficio stampa, ci è arrivata la seguente spiegazione: «Casi simili ci sono già stati segnalati. In generale potrebbe trattarsi del cosiddetto “blue ice”, ovvero blocchi di ghiaccio che si staccano dalle fusoliere degli aerei. Si formano dal liquido disinfettante delle toilette, azzurrino, che appunto ghiaccia sulla fusoliera, e poi quando l’aereo si abbassa, e di conseguenza la temperatura esterna si alza, possono staccarsi e precipitare a terra». Dunque un pericolo costante? «Può capitare, ma è raro». E’ quanto avvenuto sabato 24 intorno alla 20 in centro a Novara?

Paolo Viviani

Fonte:www.oknovara.it


30 Novembre 2012

I bombardamenti dei caccia italiani sulla Libia, iniziati dopo Pasqua e continuati fino all’ottobre dell’anno scorso, sono stati tenuti nascosti per motivi politici. La notizia certo non è nuova e del resto durante il conflitto Il Sole 24 Ore fornì periodicamente in esclusiva i dati ottenuti da fonti confidenziali sui raid aerei italiani effettuati da jet di marina e aeronautica contro le forze di Gheddafi.

Ad ammettere la censura voluta all’epoca dal Governo Berlusconi e tenacemente imposta dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha provveduto ieri uno dei protagonisti di quella guerra, il generale Giuseppe Bernardis , capo di stato maggiore dell’aeronautica militare. In occasione della presentazione del libro edito dalla Rivista Aeronautica ”Missione Libia 2011. Il contributo dell’Aeronautica Militare” che fa luce su molti aspetti di quella guerra , il generale ha attribuito il deficit di comunicazione alla «situazione critica di politica interna» in cui viveva allora il Paese. Negli oltre sette mesi di guerra in Libia, dal 19 marzo al 31 ottobre 2011, «è stata fatta un’attività intensissima» – ha detto Bernardis, friulano con 4 mila ore di volo su 19 tipi di velivoli – «che è stata tenuta per lo più nascosta al padrone vero dell’aeronautica militare, che sono gli italiani, per questioni politiche, per esigenze particolari.

C’erano dei motivi di opportunità, ci veniva detto, e noi chiaramente non abbiamo voluto rompere questo tabù che ci era stato imposto. Questo è il motivo per cui questo volume esce solo adesso, un anno dopo».

Solo oggi, a oltre un anno di distanza dalla morte di Gheddafi vengono ufficializzati i dati sulla guerra italiana di Libia nella quale i nostri jet hanno condotto in sette mesi circa 1.900 sortite per un totale di più di 7.300 ore di volo. Le missioni di bombardamento vero e proprio, autorizzate dal governo Berlusconi (che pochi giorni prima aveva detto «non bombarderemo mai la Libia») il 26 aprile e iniziate due giorni dopo con un raid effettuato nel settore di Misurata, sono state 456, solo considerando quelle di «attacco al suolo contro obiettivi predeterminati» (310) e quelle di «neutralizzazione delle difese aeree nemiche» (146). A queste vanno poi aggiunti gli «attacchi a obiettivi di opportunità», cioè le incursioni condotte contro bersagli individuati sul momento, il cui numero è stato minore. Il capo di stato maggiore ha sottolineato «con orgoglio» il contributo «di primordine» fornito dall’aeronautica, che nelle missioni Odyssey Dawn e Unified Protector ha schierato nella base di Trapani caccia F16, Eurofighter, Tornado e Amx, oltre ad altri velivoli, impiegandone fino a 12 nella stessa giornata.

Un apporto fondamentale per la buona riuscita delle operazioni a guida Nato e che è stato fornito «senza incorrere in alcun incidente e senza causare danni collaterali». «L’unico rammarico che ho avuto – scrive Bernardis nella prefazione del libro – è quello di non aver potuto, operazione durante, fornire all’opinione pubblica un resoconto puntuale del nostro operato, per evitare ogni possibile strumentalizzazione. Questo volume colma in parte quel vuoto».

Parlando a braccio il generale ha utilizzato termini meno diplomatici, attribuendo la censura imposta alle informazioni belliche a una precisa volontà politica di «non dire quello che si faceva». «A volte per questioni di politica interna si impedisce al Paese di svolgere al meglio il suo ruolo di politica estera e questo non è possibile: non si voleva che si parlasse di questa missione perché c’era una situazione critica di politica interna». Un chiaro riferimento alla pesante emarginazione dell’Italia dalla gestione politica della crisi libica attuata dagli alleati e in particolare da francesi e britannici evidentemente interessati a prendere il posto di Roma nei rapporti economici con la nuova dirigenza di Tripoli.

Benché le forze aeree italiane avessero svolto un numero di missioni inferiori solo a britannici e francesi, in un conflitto che senza le basi aeree della Penisola (dalle quali partirono la gran parte dei raids aerei della Nato) gli alleati non avrebbero mai potuto combattere e vincere, la censura posta dal Governo contribuì a marginalizzare il peso dell’Italia.

Bernardis ha anche accennato al caso del maggiore Nicola Scolari, che aveva compiuto la prima missione in Libia decollando da Trapani e che ai giornalisti aveva descritto la missione del suo Tornado ECR durante la quale peraltro non erano stati impiegati i missili anti-radar Harm contro le postazioni della difesa aerea di Gheddafi. Ignazio La Russa aveva giudicato quelle dichiarazioni inopportune con conseguente immediato ritorno dell’ufficiale al suo stormo, il 50° di Piacenza. «Venne mandato via perché aveva fatto solo il suo lavoro», ha detto Bernardis. Scolari non ha comunque subito alcuna conseguenza disciplinare per quelle dichiarazioni.

Fonte:www.ilsole24ore.com


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