2013 Aprile

Tutte le news dall’Aeroclub di Modena


L’Aérospatiale SA 321 Super Frelon (in francese il nome indica un grosso tipo di calabrone) è un elicottero trimotore francese pesante prodotto dalla Aérospatiale.

L’elicottero è ancora utilizzato in Cina dove viene prodotta una versione locale denominata Z-8.

File:Super Frelon 1.jpg

Sviluppo

Del Super Frelon sono state prodotte sia varianti civili che militari e queste ultime sono risultate le più numerose, grazie alle acquisizioni da parte delle forze armate francesi e all’esportazione in Israele, Sudafrica, Libia, Cina e Iraq.

GUARDA VIDEO

http://www.youtube.com/watch?v=hGJQUWnqBXQ

L’elicottero nella sua variante militare è stato realizzato in configurazioni da trasporto, antisom e antinave. La versione da trasporto era in grado di imbarcare 38 soldati con l’equipaggiamento o in alternativa 15 barelle per l’uso come eliambulanza.

Le versioni antisommergibile e antinave erano solitamente equipaggiate con un radar di navigazione e di ricerca (ORB-42) e un verricello con 50 metri di cavo per il soccorso in mare. Spesso venivano adattati per il rifornimento in volo ed equipaggiati con un cannone da 20 mm, contromisure elettroniche, sistemi di visione notturna, designatori laser e il sistema Personal Locator System.

File:Super Frelon 3.jpg

Utilizzatori

Militari

Argentina Argentina
  • 8 elicotteri ricevuti dopo un aggiornamento da Israele[2]
Cina Cina
  • Zhōngguó Rénmín Jiěfàngjūn Kōngjūn che utilizza la variante (Z-8) Jingdezhen.
Francia Francia
Iraq Iraq
Israele Israele
  • Heyl Ha’Avir– 12 elicotteri. 8 in seguito modificati e ceduti all’Argentina
Libia Libia
  • 9 elicotteri
Sudafrica Sudafrica
Zaire Zaire

File:SAAF-Super Frelon-001.jpg

Civili

Grecia Grecia
  • Olympic Airways
Norvegia Norvegia
  • BAT

File:AEROSPATIALE SUPER FRELON.png

Descrizione
Tipo Elicottero pesante da trasporto
Equipaggio 5
Costruttore Francia Aérospatiale (oggi Eurocopter)
Data primo volo 7 dicembre 1962
Esemplari    97
Dimensioni e pesi
 
Lunghezza 19,40 m
Altezza 4,90 m
Diametro rotore 18,90 m
Peso a vuoto 6 863 kg
Peso max al decollo 13 000 kg
Capacità 27 Passeggeri o 4 barelle
Propulsione 
Motore 3 turbine Turboméca Turmo IIIC
Potenza 1550 shp
Prestazioni
Velocità max 275 km/h
Autonomia 920 km
Tangenza 3 150 m
Siluri 4 siluri guidati
Note dati relativi alla versione SA 321G navale

 

Fonte:http://it.wikipedia.org



Simona Branchetti Meldola, 15 agosto 1976

Giornalista professionista dal 27 luglio 2005, Simona Branchetti si è laureata in giurisprudenza all’Ateneo di Bologna.

Esordisce a Odeon TV con la conduzione di programmi d’intrattenimento. Nel 2000 è a Happy Channel, e nel 2002 arriva a Stream Tv dove ha lavorato nella redazione di programmi di approfondimento (Focus) Agrinews (tg di settore) e il tg StreamNews.

Dal 2003 al 2007 lavora per la redazione di Sky Tg 24 dove inizialmente conduce il tg e la rubrica meteorologica “Bel Tempo si spera“. Più tardi diventa ufficialmente conduttrice del tg nella fascia pomeridiana dalle 12:00 alle 19:00 in coppia con Marco Congiu, oltre che realizzatrice di servizi di cronaca.

Dall’ottobre 2007 è al Tg5. Inizia come conduttrice dell’edizione mattutina, poi in seguito al congedo di Didi Leoni, diventa conduttrice dell’edizione delle 13 del Tg di Canale 5 in coppia con Giuseppe Brindisi oltre che realizzatrice di servizi di cronaca e spettacolo. Nel 2009 il cantautore siciliano Daniele Profilio le ha dedicato una canzone dal titolo La Telegiornalista.



Cresce nel mondo la domanda di elicotteri russi. L’Iraq, nell’ambito del contratto già firmato con la Russia sull’acquisto di armamenti, ha espresso il desiderio di aumentare a 40 unità la fornitura di elicotteri Mil Mi-28N “Cacciatore Notturno”. Altri 24 elicotteri Mil Mi-171 verranno acquistati dal Perù.

Il Dipartimento militare peruviano ha in progetto di usare gli elicotteri russi da trasporto Mil Mi-171 nelle valli dei fiumi Apurímac, Ene e Mantaro per la lotta ai terroristi e alla narcomafia: questi elicotteri sono in grado di trasportare fino a 26 passeggeri o un carico fino a 2 tonnellate. Come racconta il caporedattore della rivista «Russia/CIS observer» Maksim Pjaduškin:

L’elicottero Mil Mi-171, che è il risultato di una modifica al ben noto Mil Mi-8, è il punto di forza delle esportazioni della holding “Vertolety Rossii”. È un elicottero ben riuscito, che viene modernizzato costantemente ed è utilizzato con successo in varie parti del mondo. L’America Latina è forse una delle ultime regioni dove non è ancora molto diffuso. I maggiori concorrenti occidentali del Mil Mi-171, gli “Eurocopter” e i “Super Puma”, costano di più a parità di caratteristiche. Se prendiamo il Mil Mi-28, l’affare con l’Iraq sarà solo la prima delle forniture. A differenza del Mil Mi-171, questo è un apparecchio d’attacco, elaborato abbastanza di recente, ma già inserito negli armamenti di cui è dotato l’esercito russo.

La lettera “N” nella denominazione del Mil Mi-28 sta a significare che è stato previsto per l’effettuazione di azioni militari in notturna. La sua arma principale è costituita dai missili guidabili e da un cannone da 30 mm. L’elicottero ha un radar di bordo per l’individuazione e per il puntamento di oggetti a terra e in aria. L’ambiente circostante è riflesso su tre monitor a colori in dotazione al pilota e all’operatore. Tra l’altro, sullo schermo appare un quadro volumetrico a colori come nei videogiochi, fa notare l’esperto della holding dell’informazione “RBK Daily” Sergej Starikov:

Questo elicottero, con la sua postazione di visione notturna, può effettuare la ricerca di obiettivi da puntamento a una distanza fino a dieci kilometri. Il puntamento dei missili guidabili della versione notturna modificata è dato dal complesso “Tor”. Il Mil Mi-28N è stato messo in produzione di serie nel 2006. È un apparecchio che ha già saputo parlare per sé. È difficile dire perché proprio in Iraq abbiamo scommesso su di esso, forse perché là vi sono aerodromi non terminati e molte piste d’atterraggio in cattive condizioni, mentre la tecnologia russa è estremamente pratica nell’utilizzo, rappresentando quindi un’ottima alternativa per la soluzione di quelle sfide che ha di fronte a sé il Ministero della Difesa iracheno.

Gli elicotteri Mil Mi-171 sono eccellentemente impiegati in Brasile, dove ne verranno probabilmente aumentate le forniture. Per quel che riguarda il Perù, il Ministero della Difesa di questo Paese ha già preso in servizio alcuni elicotteri russi modernizzati Mil Mi-25, impiegati nella lotta al narcotraffico. Secondo gli esperti, i nuovi Mil Mi-171 aiuteranno le forze di sicurezza a combattere più efficacemente la criminalità. Queste macchine da trasporto semplici e affidabili sono indispensabili nel lavoro in alta montagna e nelle fitte foreste. La Russia ha proposto di condurre l’istruzione e l’addestramento dei piloti sia sul proprio territorio che su quello del Perù.

Fonte:http://italian.ruvr.ru



Prima uscita in Dolomiti per le unità cinofile della Croce Rossa. Impegnati quaranta cani da ricerca e due AB 205

OBEREGGEN. Un’esercitazione di simili dimensioni, sopra i duemila metri di quota, con tanta, troppa neve bagnata fradicia, sotto a un sole cocente, con impegnate oltre una quarantina di unità cinofile della Croce Rossa (altoatesina e anche trentina), portate avanti e indietro dai mastodontici elicotteri AB 205 dell’Aviazione dell’Esercito… Da queste parti, qualcosa del genere non si era mai visto.

L’esercitazione si è tenuta ieri a Obereggen. E vale la pena raccontarla, perché in troppi danno per scontata la presenza di questi angeli custodi, sempre pronti a intervenire quando qualcuno si smarrisce sulle nostre montagne. In troppi, a dare per scontata un’attività di notevole complessità.

A dirla a parole, infatti, bastano pochi secondi, ma in realtà non si tratta di un gioco da ragazzi. Perché di mezzo non ci sono soltanto persone, ma pure cani da ricerca. E mentre alle persone basta spiegare come funziona perché capiscano e si adeguino, coi cani è tutto un altro paio di maniche: o si fidano, o sei spacciato. E rischi.

Ti avvicini a capo chino, rasoterra, apri il portellone dell’elicottero, fai salire il cane, sali tu, poi ti imbraghi, assicuri il cane, chiudi e poi via, si decolla. Arrivi in quota, apri il portellone, scendi, chiudi, ti allontani.

Capaci tutti, ti vien da pensare. E invece, ci vogliono ore solo per rinfrescare la memoria a dei conduttori di cani esperti come quelli della Croce Rossa, agli ordini del delegato regionale Aldo Bertagnolli. Il prossimo anno, le unità cinofile altoatesine compiranno vent’anni. Gente che ne sa, appassionata: poche parole, ancor meno fronzoli. Tolte la Pusteria e l’Alta Venosta, coprono l’intera provincia. Ogni anno, una sessantina di interventi per la ricerca di persone scomparse. In Alto Adige, non si occupano di soccorso in ambiente alpino, ossia su roccia o in zone difficoltose. Ché da noi ci pensano i soccorsi alpini. Molti volontari della Croce Rossa, però, hanno comunque ottenuto i brevetti internazionali del loro organismo. Che poi, a livello mondiale, è l’unico riconosciuto da tutti a prima vista, proprio grazie alla croce rossa. Tutti, turisti compresi, di qualunque nazionalità siano: se li vedono, si fidano.

Se parli con loro a tu per tu, ti raccontano di una situazione non semplicissima, in Alto Adige. Dove troppi cinofili si fanno belli, parlando delle loro competenze non proprio del tutto acclarate, del troppo vantarsi dei cani molecolari che tanto vanno di moda anche se poi… Ufficialmente, però, parlano bene di tutti i loro colleghi: «Ognuno, ogni gruppo di cinofili, ha la sua peculiarità».

La Croce Rossa, invece, utilizza in pratica qualsiasi tipo di cane. Normale. Perché non ce n’è uno più adatto di un altro. Semmai, ce n’è che non sono tanto adatti, tipo i San Bernardo: nonostante le credenze popolari, sono troppo pesanti per intervenire sulle valanghe. I bolzanini, perciò, utilizzano golden retriever, labrador, pastori tedeschi, lupi italiani e lupi cecoslovacchi, terrier, schnauzer e via abbaiando.

Perché sono cani signorili, intelligentissimi. Ma quando vengono avviate le turbine degli AB 205 e il rotore comincia a vorticare, si mettono tutti ad abbaiare. Invasati. Non che non si divertano anche loro, specie una volta atterrati sopra un metro di manto immacolato, ai piedi delle cime del Latemar. Ma percepiscono anche loro la delicatezza delle operazioni in corso.

Prima, l’intera sequenza di salita e discesa dal velivolo viene provata a elicotteri spenti, su un pratone in piano, fra i masi di Obereggen. Poi, quando tutti hanno preso confidenza, si accendono le turbine e si riprova. Spostamenti d’aria traditori, rombo assordante, il pericolo dei rotori, ché se non sai come fare rischi di rimanere decollato. E i cani, da tenere stretti al guinzaglio perché si agitano.

Ma prova che ti provo, imparano. E allora, si decolla per lassù: sella innevata a 2030 metri, sulle piste da sci deserte e chiuse, dove da decenni ad aprile non si vedeva tanta neve. Così tanta che il punto prescelto per atterrare viene usato solo per quattro coppie cane-conduttore.

Le altre vengono scaricate altrove, in condizioni meno drammatiche. Perché i primi quattro cani devono nuotare in un metro e mezzo di neve. Bagnata fradicia. Pesante. Che sfacchinata!

Fonte:http://altoadige.gelocal.it



Un dettagliato studio dello sviluppo della dottrina militare cinese relativa conferma il deficit storico di Pechino

L’esercito cinese è convinto di aver bisogno di più elicotteri, che per la loro versatilità e le esigenze di Pechino si rivelano più utili degli aerei da battaglia.

LA RICERCA – Uno studio firmato da due ricercatori americani, Peter Wood  e Cristina Garafola, espone nel dettaglio l’evoluzione della dottrina militare cinese verso la valorizzazione degli elicotteri, nel quadro di un modello di difesa che è evoluto insieme alle possibilità tecniche ed economiche del paese.

I cinesi hanno indubbiamente raggiunto la conclusione che nella guerra moderna gli elicotteri hanno un’importanza non inferiore ai mezzi corazzati e lo studio cita l’efficacia dimostrata dagli Apache americani durante la prima guerra del Golfo come un vero e proprio spartiacque nell’evoluzione dell’atteggiamento cinese.

L’ARTIGLIERIA AEREA – Una conclusione alla quale gli americani sono già giunti da tempo, visto che solo una porzione degli interventi militari americani ha impegnato seriamente in combattimento i pesanti carri armati, un tempo re dei campi di battaglia, mentre al contrario i più agili e versatili elicotteri  sono stati ubiqui e insostituibili, sempre capaci di fare la differenza.

Così la Cina ha deciso di dotarsi di più elicotteri e l’esercito è stato dotato di una propria forza dedicata, che è stata separata dall’aviazione.

I NUOVI PRODOTTI – Nel corso di questa transizione i cinesi hanno sviluppato alcuni modelli in proprio, uno dei quali è abbastanza ispirato all’Apache statunitense, tanto che come l’americano è un elicottero d’attacco con due cabine sovrapposte in tandem.

Lo Z-10 sembra un prodotto moderno e di discreta efficienza, anche se armi ed elettronica non sono ancora all’altezza di quelli dell’Apache a detta degli esperti. Ad affiancarlo lo Z-19, un elicottero d’attacco meno armato, ma più versatile, capace anche di portare soldati e carichi e in futuro lo Z-9, versione più modesta, ma stessa configurazione dello Z-10.

IL PARCO MACCHINE – Secondo i conti più attendibili la Cina disporrebbe di quasi un migliaio di velivoli, di cui solo alcune centinaia da battaglia. nell’inventario infatti ci sono anche pezzi di produzione straniera per impieghi speciali e soprattutto ci sono gli elicotteri da trasporto, che per le teoriche esigenze dell’esercito cinese non basteranno mai. Poca cosa rispetto alle migliaia che possono schierare gli americani, ma comunque già una forza di tutto rispetto per intervenire all’interno dei confini nazionali con rapidità e senza dover temere le distanze e la varietà di un territorio che oltre ad ospitare la popolazione più popolosa del mondo è enorme. I mezzi per di più, a differenza di altre macchine da guerra, si rivelano utili e utilizzabili anche in caso di bisogni diversi, come i soccorsi alla popolazione civile, le centinaia di elicotteri inviati nel Sichuan dopo il terribile terremoto del 2008 sono stati preziosissimi e le occasioni nelle quali possono essere impiegati al di fuori delle esigenze belliche sono diverse, anche per questo la loro l’immagine presso la popolazione è sensibilmente diversa da quella degli aerei militari.

Fonte:www.giornalettismo.com



Panico nella piazza durante il giuramento del governo Letta. Due i militari colpiti: uno sarebbe grave. Scattato immediatamente lo ‘stato di massima sicurezza’. Ferito anche l’uomo fermato: è un italiano e ha problemi mentali

Due carabinieri sono rimasti feriti davanti Palazzo Chigi a Roma dopo che un uomo ha aperto il fuoco esplodendo numerosi colpi di pistola. Due i militari colpiti: uno al collo e uno alla gamba. Uno dei due sarebbe grave. Ferita di striscio anche una passante. Fermato il presunto attentatore: si chiama Luigi Preiti, è un imprenditore originario di Rosarno, in Calabria, ma residente in Piemonte. Secondo  fonti investigative è affetto da problemi mentali.

Panico nella piazza tra i presenti dove è immediatamente scattato lo ‘stato di massima allerta’. Centinaia le auto delle forze dell’ordine mentre a Palazzo Chigi si sta tenendo il giuramento del Governo Letta. La polizia scientifica ha ritrovato a terra sette bossoli.

Le forze dell’ordine hanno fatto defluire la folla dopo gli spari esplosi in piazza Colonna. La misura, secondo uno degli agenti in forza davanti al Quirinale, sarebbe dovuta alla possibilità che ci sia in circolazione un uomo armato. Evacuato anche il Quirinale.  Rafforzate le misure di sicurezza attorno ai palazzi istituzionali e negli obiettivi sensibili.  A Palazzo Chigi è arrivato Gianni De Gennaro, sottosegretario ai Servizi segreti del governo Monti. L’area dove è avvenuta la sparatoria è stata transennata.

Grande agitazione nella sala del Quirinale. Il neo ministro dell’Interno Angelino Alfano è stato informato della sparatoria da un funzionario del Colle, mentre molti degli operatori e giornalisti presenti stanno abbandonando le loro postazioni.

Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, sta andando all’Umberto I, l’ospedale di Roma dove è stato ricoverato il carabiniere ferito.

Fontewww.repubblica.it



Il Boeing 727 è un trimotore a getto di linea ad ala bassa prodotto dall’azienda statunitense Boeing dagli anni sessanta.

File:Syrianair Boeing 727.jpg

In grado di accogliere dai 163 ai 189 passeggeri o 19.400 kg di carico utile, volò per la prima volta nel 1963 ed è stato a lungo il più popolare aereo di linea del mondo.

Storia

Sviluppo

Il progetto nacque da un compromesso tra le compagnie aeree United Airlines, American Airlines e Eastern Airlines sulle specifiche tecniche del successore del Boeing 707. La United richiedeva un quadrimotore per operare dagli aeroporti ad alta quota, la American un bimotore per semplicità di manutenzione mentre la Eastern desiderava un trimotore per i voli marittimi verso i Caraibi; si scelse la formula trimotore e intorno a questa specifica nacque il 727. Con circa 80 ordinazioni, nel 1960 la Boeing iniziò la produzione e nel 1964 le compagnie poterono utilizzare il nuovo aereo. Il grande successo di vendite venne raggiunto grazie alla versione 727-200 che, grazie all’allungamento della fusoliera, permetteva una capacità di carico maggiore.

GUARDA VIDEO

http://www.youreporter.it/video_Boeing_727_Il_trireattore_di_Seattle

File:Boeing 727 D-AHLS Hapag-Lloyd.jpgConosciuto per essere un aereo versatile e affidabile, il 727 ha costituito il nucleo di molte compagnie aeree e spesso è descritto come il “DC-3 dell’era del jet”. Anche dopo l’entrata in servizio del più grande Boeing 747, le compagnie internazionali non rinunciarono al 727. All’inizio del XXI secolo il 727 era ancora in servizio presso molte compagnie aeree, nonostante avesse la fama di essere un aereo rumoroso; le compagnie infatti passarono dai trimotori ai bimotori, che vengono ritenuti più efficienti e soprattutto più silenziosi. Fu anche l’ultimo aeroplano ad avere un equipaggio composto da tre persone: oltre ai piloti era presente l’ingegnere di bordo, il cui lavoro è stato sostituito da sistemi computerizzati sui nuovi aerei.

A causa dell’alto costo del carburante, del calo delle vendite in seguito all’11 settembre e dei costi aggiuntivi di manutenzione per gli aerei più vecchi, molte compagnie stanno ritirando dal servizio il 727. La Delta Airlines, l’ultima grande compagnia ad averli ancora in servizio, ha ritirato l’ultimo esemplare nel 2003. Comunque resta in servizio presso piccole compagnie aeree, compagnie di trasporti e charter e sta vivendo una seconda giovinezza come aereo da trasporto privato.

Impiego operativo

OFile:Boeing 727 I-DIRJ Alitalia.jpgltre ai voli domestici di medio raggio, il 727 è stato molto utilizzato per i collegamenti internazionali. È stato molto utilizzato anche dalle compagnie aeree di trasporto merci e dalle compagnie charter. La Federal Express iniziò la “rivoluzione” dei cargo nel 1975 proprio grazie a un 727: oggi molte compagnie di questo tipo utilizzano il 727 come spina dorsale della flotta. La United States Postal Service lo utilizza nel ruolo di aereo postale.

Alcune compagnie usano il 727 per trasportare i passeggeri verso i propri villaggi turistici o navi da crociera: ad esempio la Carnival Cruise Lines usa sia il 727 che il 737 per trasportare passeggeri nelle città in cui sono ancorate le loro navi.

Le principali compagnie che lo hanno utilizzato sono l’AeroSur, Aerolíneas Argentinas, Air Canada, Air One, Air France, ANA, Alitalia, American Airlines, Australian Airlines, Avianca, China Airlines, Copa, Delta Air Lines, Dominicana, Eastern Airlines, Federal Express, Iberia, Japan Airlines, JAT, Korean Air, Lloyd Aéreo Boliviano, Lufthansa, Mexicana, Northwest Airlines, Olympic Airways, Pan Am, Singapore Airlines, Tarom, US Airways, Viasa e, tra le compagnie charter, la Carnival Airlines e Hapag-Lloyd.

È stato anche utilizzato dalle forze aeree belghe, jugoslave e neozelandesi.

Descrizione tecnica 

Il 727 ha riscosso successo anche grazie alla sua capacità di operare da piste abbastanza corte senza pregiudicare l’autonomia necessaria per le rotte di lunghezza media. Questo ha permesso alle compagnie aree di collegare città di medie dimensioni ma con aeroporti piccoli (come ad esempio famose località turistiche) alle città più grandi. Questa sua capacità è dovuta soprattutto al particolare disegno alare: grazie all’estensione di dispositivi di ipersostentazione quali flap e slat la portanza aumenta notevolmente permettendo al 727 di atterrare e decollare a velocità molto ridotte.

File:Boeing-727-3view 2.svgIl 727 è stato progettato per operare da aeroporti di piccole dimensioni, ed è stato quindi necessario renderlo autonomo rispetto a tutte quelle strutture aeroportuali di cui gli altri aerei hanno bisogno. Una delle caratteristiche principali del 727 è la scaletta di bordo collocata nella parte posteriore della fusoliera che permette ai passeggeri di salire e scendere senza particolari strutture come i jetway, presenti negli aeroporti più grandi. È stato anche uno dei primi aerei dotati di APU (Auxiliary Power Unit) che fornisce energia ai sistemi di bordo, in modo da permettere l’avviamento dei motori senza generatori di terra.

Il 727, a causa degli ormai sorpassati motori PW-JT8D dei quali è dotato, è un aereo molto rumoroso e i motori di molti modelli operanti negli Stati Uniti d’America sono stati dotati di dispositivi anti-rumore.

Versioni

727-100
versione a fusoliera corta, realizzata in 407 esemplari.
727-100C
versione a fusoliera corta, realizzata in 164 esemplari.
727-200
versione a fusoliera lunga, realizzata in 1245 esemplari.
727-100F
versione a fusoliera lunga, realizzata in 15 esemplari.
Descrizione
Tipo Aereo di linea
Equipaggio 2 Piloti + 1 Ingegnere di bordo. Ca. 3 Assistenti di volo
Costruttore Stati Uniti Boeing
Data primo volo 9 febbraio 1963
Anni di produzione 19631984
Data entrata in servizio 1 febbraio 1964
Utilizzatore principale Stati Uniti FedEx
Altri utilizzatori Stati Uniti Capital Cargo
Canada Kelowna Flightcraft
Canada Cargojet Airways
Afghanistan Ariana Afghan Airlines
Esemplari  1.831
Dimensioni e pesi
 
Lunghezza 46,69 m
Apertura alare 32,98 m
Altezza 10,36 m
Superficie alare 157,93 m²
Peso a vuoto 46.675 kg
Peso carico 19.500 kg
Peso max al decollo 95.000 kg
Passeggeri da 163 a 189
Propulsione
Motore 3 turbofan Pratt & Whitney JT8D-9A, JT8D-17
Spinta 6 577 kg
Prestazioni
Velocità max 999 km/h
Autonomia 4 000 km
Tangenza 7 530 m
Note I dati sono relativi all’Advanced 727-200

Fonte:http://it.wikipedia.org



E’ possibile che delle Ferrari di produzione, con minime protezioni sul fondo per le strade impervie, possano fare l’intera cordigliera andina, o il giro della Cina, fino al Tibet o, ancora quello dell’India? Scopriamolo con chi lo ha fatto.

Quello che rende diverso un campione dello sport dalle altre persone, è la sua capacità di ottenere risultati per gli altri impossibili. Questo lo fa uscire dalla massa dall’anonimato portandolo, nei casi più celebri, nel mondo del mito. La Ferrari, in un certo senso, ha percorso questo stesso cammino: nata automobile tra le automobili, ha subito saputo trovare quella diversità, rispetto ai mezzi di trasporto di massa, che caratterizza i campioni. Le sue vittorie e la sua unicità l’hanno spostata nel mondo del mito e non è un caso che Enzo Ferrari amasse particolarmente le corse di durata. Se in Formula 1, infatti, a vincere è il pilota – quello che viene insignito del titolo di Campione del Mondo – insieme alla sua macchina, nelle grandi corse di durata, a vincere sono sempre state la automobili guidate da più piloti a turno.

Che questi tipi di viaggio rappresentino una forma di supercollaudo irripetibile lo si è riscontrato in moltissimi momenti in ogni continente

La 24 ore di Le Mans e Daytona, la 12 Ore di Sebring ne sono gli esempi più noti. In quelle gare il massimo sforzo per il successo è chiesto al mezzo meccanico che deve saper resistere ad uno sforzo prolungato prevalendo sugli altri impegnati nella stessa dura prova.
Il mito cui appartiene il marchio Ferrari è fatto anche di queste esperienze alle quali, per le ragioni oggettive che conosciamo, sono purtroppo venute meno quelle date dalle gare su strada: la Mille Miglia, la Carrera Panamericana, il Tourist Trophy all’isola di Man e la Targa Florio, infatti, sottoponevano le automobili ad uno sforzo ancora diverso. Uno sforzo dove, alla durata della gara si univa l’incertezza di situazioni sempre differenti, di terreni disomogenei, di imprevisti spesso pericolosi e perfino fatali.
Se le corse hanno abbandonato le strade, la Ferrari, che ha sempre dominato in quel tipo di prova, non poteva fare lo stesso.

Battezzati China 15,000 Red Miles’, Panamerican 20,000’ e ‘Magic India Discovery’, negli ultimi anni le dodici cilindri 612 Scaglietti e 599 GTB Fiorano hanno compiuto delle imprese che arrivano perfino a superare quello che si intende oggi come lo sforzo massimo di una vettura: una 24 ore. “La differenza principale è data dalle condizioni che si affrontano.

Nelle corse i piloti sono dei professionisti. Nei nostri viaggi alla guida c’erano giornalisti

 

In pista la macchina è costantemente sotto controllo, ai box c’è un team ampio che dispone di ogni possibile ricambio e la situazione è costante, al massimo cambiano le condizioni atmosferiche. In un Raid si trovano strade e passaggi impensabili per una Ferrari, e poi la polvere, la sabbia, il fango e le altitudini, siamo andati oltre i 5000 metri! Poi c’è un’altra variabile importante: nelle corse i piloti sono dei professionisti. Nei nostri viaggi alla guida c’erano giornalisti. Ottimi guidatori, certo, ma … ciascuno a suo modo!” dicono all’unisono i tre responsabili tecnici dei raid che si trovano per parlare dei avventure che hanno vissuto singolarmente. Gigi Barp, quella della Cina, la prima, Enrico Goldoni, impegnato in quella che ha portato le macchine attraverso l’intera Cordigliera Americana, dal Sud al Nord, e Andrea Costantini, garante tecnico dell’infernale viaggio che si è svolto tutto attorno all’India.
Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna sapere che alla Ferrari piace fare le cose che portano al primato. Nel 2003, quando il mondo intero parlava di Cina nominando principalmente Pechino e Shanghai, a Maranello si è pensato di fare l’intero giro della Cina. La macchine scelte, anzi le due macchine, identiche, le 612 Scaglietti appena presentate. Gigi Barp, ai tempi, era responsabile tecnico del nuovo mercato cinese dopo anni di attività come tecnico addetto allo sviluppo delle nuove vetture ed alla loro sperimentazione su strada e all’idea di questa avventura non si tirò indietro. Anzi. Con lui, per la logistica, Gabriele Lalli *che diventerà, nel tempo, il continuatore di queste esperienze come organizzatore anche dei tour panamericano e indiano.

Barp inizia la preparazione delle auto nel modo più pragamaticamente ‘ferrariano’: le Scaglietti vanno bene come le produciamo. Hanno fatto tutti i collaudi e le prove di durata del caso, quindi non si cambia niente. Uniche modifiche: protezione sottoscocca per sassi e buche, auto leggermente alzata nelle sospensioni per affrontare strade difficili, serbatoio di scorta (non si sapeva, pensando al lungo altipiano del Tibet o al deserto del Ghobi, quanta benzina si sarebbe trovata) e centraline elettronica a più ampio spettro per sopportare benzina a basso numero di ottani ed altitudini da oltre 5000 metri. “Con la benzina il record lo abbiamo raggiunto in Sud America – aggiunge Goldoni – ci siamo trovati a dover viaggiare con le 599 con la benzina a meno di 80 ottani. Portavamo delle taniche di V Power Shell per cercare di aiutare un po’, ma c’era da arrangiarsi”.
Tornando alla Cina, dove tra le difficoltà si è anche scoperta quella che, per guidare in quel paese, occorre la patente cinese. E l’esame della patente in cinese non è propriamente alla portata di tutti… Fortuna che con l’appoggio di Fiat China (preziosissimo), non solo i membri del team, dalla coraggiosa fotografa Gabriela Noris agli operatori TV Luca Gualdi e Andrea Gioacchini, fino ai tecnici, poterono essere messi in condizione di guidare, ma soprattutto i giornalisti che si alternavano alla guida ogni 4/5 giorni, proveniendo da tutti i paesi del mondo. Quel viaggio, che durò circa 60 giorni, attraversando le zone Nord della Mongolia Interna e di seguito ad Ovest verso il Kashgar per poi raggiungere Lhasa, in Tibet, scendendo verso il Sud tropicale di Shenzen e risalire, infine, a Shanghai da dove era partito, resta ancora oggi un primato ineguagliato. Nessun costruttore ha osato tentare tanto.

E la Ferrari, con anni di vantaggio, ha potuto portare una cinquantina di giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, a conoscere la realtà di un mondo che, come detto, quasi tutti conoscono solo attraverso le grandi città che lo collegano a noi. “Non abbiamo mai creduto di non farcela – dice Barp – ma abbiamo passato momenti terribili quando ci siamo trovati nel mezzo di una di quelle alluvioni che si leggono sui giornali. Eravamo nella stessa area dove poi sarebbe sorta la grande diga delle tre gole, le acque si erano portata via la strada ed un ponte che avremmo dovuto fare. Non avevamo una cartografia abbastanza dettagliata, non esisteva, quando il nostro interprete ha saputo che si sarebbe potuta fare una strada alternativa. Qualcosa come 400 chilometri di deviazione. Non c’era scelta. Dopo cinque ore di guida poco più che a passo d’uomo, ci troviamo davanti ad un ponticello da muli. Avrebbe tenuto? Prima di rischiare una Ferrari e i giornalisti australiani che la guidavano, tentiamo di far passare la camionetta dei ricambi. Chi sale? Sotto l’acqua è turbinosa. E l’orrido è davvero profondo. L’autista cinese dice di voler provare. Non c’è scelta. Ce la fa. Poi le Ferrari. Toccano col fondo ma, grazie al cambio F1 che non richiede gioco di frizione, scivolano miracolosamente di là.

Quando pensavamo di avercela fatta arriviamo in un paesello in cui la strada si incunea strettissima. Le Ferrari che sono larghe due metri non ci passano. Come fare?” prosegue Barp con l’emozione di chi mantiene vivissimo un ricordo. “Prendiamo le misure e percorriamo il paese. I passaggi più stretti sono esattamente di due metri. Proviamo! Quando siamo usciti dall’altra parte le fiancate erano strisciate, incredibile, era fatta. Ripartiamo e dopo qualche chilometro una nuova sorpresa. La peggiore. Anche se ha smesso di piovere il cielo resta cupo e le nuvole sono basse. Ci sembra di non vedere più la strada. Sono passate sette ore, ma non è una allucinazione. C’è solo un mare di fango che finisce, un centinaio di metri sotto, in quel famoso fiume del ponte da muli, che qui appare ancora più minaccioso.

Proviamo a passare a piedi. Si può. Il fango è una trentina di centimetri ma il fondo sembra compatto. Bisogna provare. Questa volta decido di partire io con una delle due Scaglietti. Non troppo piano per evitare di piantarmi a metà, ma neppure forte. Pensavo che avrei potuto morire se la macchina avesse cominciato a scivolare verso valle e, ad un certo punto, stava succedendo. Era partito il davanti, continuavo a spingere piano l’acceleratore per tenere almeno un’ultima speranza di controllo. Così, per magia, un avvallamento mi ha raddrizzato riportando il muso verso monte. Un colpo di gas ed ero di là. La seconda volta è stato più facile. Quando si dice l’esperienza!”. Il bello è che, arrivati ad una locanda, alle quattro del mattino dopo 18 ore di viaggio di cui 12 per fare gli ultimi 150 chilometri, tutti erano letteralmente entusiasti dell’esperienza fatta. Giornalisti per primi.

“E’ vero, è fantastico lo spirito che si crea” commenta Costantini ricordando un episodio di diverso rischio in India. “Si era formata una coda interminabile di camion, tutti fermi. Non si capiva che cosa fosse successo e nessuno dava indicazioni. Dopo un po’ decidiamo di passare sulla corsia opposta e dopo tre o quattro chilometri arriviamo all’origine del guaio: la strada è stata interrotta con barricate e pietre per una protesta dei trasportatori dovuta alle tasse doganali. Quando arriviamo si solleva un putiferio, ci vengono incontro a decine minacciosi. Ci sono bastoni. Non potevamo più andare né avanti né indietro. Non c’era via di scampo..”. E invece c’era, la più naturale: “incredibilmente quando hanno visto che c’erano due Ferrari è cambiato tutto. Si sono messi a guardarle prima con interesse, poi con entusiasmo. Dopo dieci minuti ci hanno tolto le barricate e ci hanno lasciati andare!”.

Che questi tipi di viaggio rappresentino una forma di supercollaudo irripetibile lo si è riscontrato in moltissimi momenti in ogni continente. “C’è stato un giorno, sulle Ande, che abbiamo trovato una strada che i camion avevano trasformato in quel terribile fondo chiamato Tôl ondulée. Vuol dire vibrazioni continue con l’unica via di scampo di andare forte per volare sulle buche. Il guaio è che era lunga 300 chilometri. Un inferno. Ma le 599 ne sono uscite bene”. Aggiunge Goldoni che ricorda anche un particolare curioso e inquietante: “un’altra volta ci troviamo su una strada andina, scavata nella pietra, tra Huaraz e Truillo, coi burroni come nei film di Paperino. Ma veri. E ci accorgiamo che macchine e camion hanno sul tetto delle protezioni fatte con telai di ferro e reti. Perché? Ce ne accorgiamo presto: dalle montagne si staccano spesso sassi e, a volte macigni, che piombano dall’alto.. Lì siamo stati davvero fortunati a passare senza danni”.

Gli episodi che vengono ricordati basterebbero per un libro. Ma per capire bisogna approfondire un punto sull’organizzazione di viaggi di questo tipo: da Maranello, col supporto di strutture locali e di un tour operator si fissano le tappe ed i punti di sosta. Ogni cinque o sei giorni si fissa un giorno di sosta per poter, eventualmente, recuperare il calendario fissato in caso siano intervenuti imprevisti. Gli alberghi ed i luoghi dove lasciare le macchine per la notte (sempre con la vigilanza) sono prenotati. Il gruppo è composto da una quindicina di persone. Quattro giornalisti, tre tra fotografo e operatori, tre tecnici, una guida locale e gli autisti dei mezzi per i ricambi ed i bagagli, cibi d’emergenza e pronto soccorso inclusi. Nei tratti più pericolosi per l’altitudine, in Cina e Sud America, è presente anche il medico con l’ossigeno.

Nelle giornate di sosta, che vengono studiate per essere sedi di aeroporto, si avvicendano i giornalisti: arrivano i nuovi equipaggi e partono quelli che hanno compiuto il tratto. Le tappe giornaliere hanno una lunghezza che varia a seconda delle difficoltà e delle esigenze logistiche. A volte è necessario scegliere una tappa molto lunga perché ci sono zone che per sicurezza o condizioni, non consentono una sosta notturna. La cosa sorprendente di questi tre viaggi è rappresentata dal fatto che non è mai successo di dover cambiare i programmi e non si è mai fermata una vettura.

“Si, qualche problema lo abbiamo avuto, sarebbe incredibile altrimenti. Una volta si è staccato, per le vibrazioni, un cavo di massa – ricorda Barp – macchina morta. Fortuna che eravamo in un paese. ‘Sosta per pranzo!’ Annuncia Lalli. Anche se sono le undici del mattino, tutti obbediscono. Fortuna, poi, ad aver trovato in fretta dove si era staccato”. Altri guai, un tubo idroguida lesionato, alcuni cerchi rotti, mezzo parafango strappato da un camion in India, la prudenziale sostituzione degli ammortizzatori dopo le Ande, nulla di più. La macchina di scorta sempre pronta a Maranello per essere spedita in caso di disastro, non si è mai spostata. Fantastico.

Alla fine chi ha sofferto di più sono state le persone. Non dormire fa parte del gioco, ma non mangiare è peggio. “Bisogna farsi una disciplina assoluta col cibo: solo bevande sigillate, solo cose cotte, solo frutta sbucciata personalmente” raccomandava sempre a tutti Gabriela, forte di una vita di viaggi e avventure “eppure molti ci cadevano. E così alle difficoltà del viaggio si aggiungevano quelle del pronto soccorso…bagno”.
Se le auto sono arrivate sempre in fondo perfette “a New York, quando siamo arrivati a Wall Street in una giornata di chiusura positiva della borsa (anche questo, ovviamente, non era organizzato ma si sa, come si dice, la fortuna aiuta gli audaci..), credevano che le avessimo mandate in carrozzeria, da tanto erano a posto, compresi gli interni, con la pelle neppure un po’ rovinata!”, altrettanto è stato per i protagonisti che hanno potuto usufruire di uno speciale trattamento fisioterapico: Barp, che era partito sicuramente sovrappeso, in due mesi di Cina ha perso quattordici chili, Goldoni in quasi tre di americhe, ben otto e Costantini, magro di natura, in settanta giorni in India, qualcosa come quattro. E stavano tutti benissimo anche se avevano passato giorni e giorni di ansie per la responsabilità loro affidata.

La responsabilità di assistere quelle macchine tanto importanti e preziose messe, “senza rete”, come si dice, nelle mani dei giornalisti di tutto il mondo in un test drive che pochi altri costruttori avrebbero avuto il coraggio di fare. Anzi, a pensarci bene, proprio nessuno. Complimenti.

*Gabriele Lalli èanche  un socio pilota dell’Aero Club di Modena

Fonte:http://magazine.ferrari.com



Gli aerei blu rappresentano uno degli sprechi dello Stato italiano: la flotta e’ assolutamente sproporzionata rispetto alle reali esigenze

Di Antonio Galdo

Aerei blu, ancora sprechi. La manutenzione della flotta di Stato, assolutamente sproporzionata rispetto a alle reali esigenze del governo, è costata lo scorso anno 22 milioni di euro, nonostante che con il governo Monti siano diminuiti le ore di volo di premier e ministri. Siamo passati dalle 4.070 ore di volo nel 2011 alle 2.885 ore del 2012, con un taglio del 30 per cento. Ma il punto critico resta quello della manutenzione. A disposizione del governo, infatti, restano tre Airbus 319 da 50 posti (ma dove bisogna andare in tanti?), cinque Falcon 900 (che da soli ingoiano 14 milioni di spese di manutenzione) e 2 nuovissimi elicotteri Aw 139.

Tra i ministri del governo uscenti, quelli che hanno fatto più ricorso ai voli di Stato sono stati Terzi e Passera, mentre è stata esemplare il ministro degli Interni, Cancellieri: mai un volo. Eppure in questo periodo ha girato l’Italia per servizio. Da questo spreco di soldi pubblici si esce in un solo modo: riducendo la flotta degli aerei blu, vendendone alcuni all’asta. E volando, come fanno i ministri di tutta Europa, con gli aerei di linea.

Fonte:www.ecoseven.ne


SOCIAL NETWORKS

Seguici sui Social

Aeroclub Modena è presente sui maggiori canali Social. Per qualsiasi informazione non esitate a contattarci. Sapremo rispondere puntualmente ad ogni vostra necessità.